In viaggio per l’Ucraina | Il Tacco d'Italia

2022-09-11 20:27:09 By : Ms. Lily Zhang

“Che disgrazia per quella gabbiana che ha fatto i suoi figli a bordo della strada”.

Il primo verso di una canzone popolare ucraina del 1700 è un lampo che restituisce un’immagine nitida di chi vive in terra di frontiera, al confine.

Parla del vivere lì, dove chiunque può arrivare a portare via i figli e cuocerli in padella.

La canta Tatyana, la nostra mediatrice culturale. Vive a Benevento da molti anni e fa ricerca storica sulle musiche beneventane e ucraine.

Siamo partiti, direzione Melika, puntuali alle 5.30 del mattino.

Il Movimento europeo di azione non violenta, cinquattaquattro persone in rappresentanza di 35 associazioni, reti, movimenti, ONG, oppure semplicemente se stessi, provenienti da varie parti d’Europa, si prepara a marciare per la pace, domani.

Un corpo unico di attivisti pacifisti che opporranno il loro corpo alla guerra.

La costruzione di una diplomazia dal basso.

Sono arrivati da tutta Italia, chi con 26 ore di pullman, chi dopo vari cambi di aereo, o con un volo che ha accumulato tre ore di ritardo e, dopo l’atterraggio, senza dormire, hanno dovuto rimettersi in viaggio.

Sono arrivati da tutta Italia, chi con 26 ore di pullman, chi dopo vari cambi di aereo, o con un volo che ha accumulato tre ore di ritardo e, dopo l’atterraggio, senza dormire, hanno dovuto rimettersi in viaggio.

Arriviamo a Melika verso le nove e lasciamo il nostro autobus.

Tende per i viveri di varie organizzazioni umanitarie si susseguono senza soluzione di continuità. Ci sono famiglie ucraine che hanno appena passato la frontiera e si stanno rifocillano. Il simbolo sui cartelli gialli è chiaro: divieto d’accesso alle banconote, le mani aperte, il dono, è consentito. Significa che i viveri sono gratis, così come i servizi igienici, l’acqua, il pronto soccorso sanitario.

Gli attivisti del Movimento europeo di azione non violenta si mettono in marcia.

In marcia attraversano il confine: l’esserci, con i propri corpi disarmati, l’andare verso.

Il claim è “More arms for hugs”, più armi per gli abbracci.

Sono persone che nella vita fanno tutt’altro: non sono cooperanti, non sono “pacifisti di mestiere”, come ha voluto precisare Angelo Moretti, il coordinatore del consorzio “Sale della terra”, che ha organizzato la missione.

C’è un falegname e un libraio, una professoressa universitaria di cinema e una di progettazione, un’ingegnera civile e una maestra, un commerciale di software e un frate. C’è chi per hobby fa il maratoneta, chi fa il barbecue, chi si lancia col deltaplano, l’aliante e il paracadute, chi fa yoga o i “tibetani”.

Fra loro alcuni giornalisti, (Riformista, Avvenire, Dubbio, Tv2000, Vita), Marco Bentivogli di Base Italia e l’eurodeputato Pd Pierfrancesco Majorino.

“Siete tutti matti”, dice Frate Fedele da Ischia, francescano appena dottorato in teologia con una tesi sui familiari dei mafiosi, “perciò sto qui con voi”. E’ assertivo.

A piedi, in poco meno di mezz’ora, siamo dall’altra parte. Il controllo dei passaporti è una mera formalità.

La prima cosa che ti accoglie è il cartello per il reclutamento dei foreign fighters.

Cambiamo pullman e ci rimettiamo in viaggio verso Kiev.

La strada si snoda tra belle campagne coltivate: orti curati e giardini fioriti, piccole fattorie dai tetti di eternit, animali da cortile, distese sterminate di girasoli, grano mais.

L’erba ai bordi delle strade è tagliata, e fa specie, perché nel Sud Italia non è mai così.

Agli incroci si cominciano a vedere gli sbarramenti di sacchi di sabbia, i cavalli di Frisia, blocchi di cemento, muri di copertoni.

Di là una chiesetta di campagna perfettamente dipinta e affianco una sequenza di cavalli di Frisia.

Più avanti un bel giardino fiorito con gigli, zinnie e gerani e quasi dentro al giardino un muro di sacchi di sabbia.

Galline che razzolano tra sbarramenti di copertoni.

Bimbi che vanno a spasso con le mamme, in bici, coi cani. Due innamorati. Adolescenti con le cuffie ficcate nelle orecchie appoggiati a sbarramenti di cemento.

E’ così fino a Kiev, per quasi 12 ore.

A 20 kilometri dalla capitale, i primi segni dei bombardamenti.

Lo scheletro dell’ospedale pediatrico bombardato all’inizio della guerra, cannoni bruciati, pezzi di lamiera contorta a bordo strada.

Poi tutto normale: passano i bus coi vecchietti e i ragazzi che guardano il cellulare, persone con le buste della spesa, macchine e leganti e macchine scassate, tir.

Vita normale di una capitale europea, con bei grattacieli, molti in costruzione, palazzi eleganti.

Parchi grandi e curati, aiuole fiorite, anziani a spasso col cane, una bellissima ragazza che fa footing e un’altra con un bouquet di palloncini bianco e oro che ci attraversa la strada.

Sacchi di sabbia, cavalli di Frisia, blocchi di cemento a bordo strada, agli incroci, vicino alle fermate della metro, di guardano di traverso.

Arriviamo all’Hotel Rus verso le nove.

I pacifisti ukraini ci aspettano.

Ognuno di loro è la nostra casa.

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